Nel reato di maltrattamenti è interesse dello Stato non solo la salvaguardia della famiglia da comportamenti vessatori e violenti, ma anche la difesa dell’incolumità fisica e psichica delle persone

Nel reato di maltrattamenti è interesse dello Stato non solo la salvaguardia della famiglia da comportamenti vessatori e violenti, ma anche la difesa dell’incolumità fisica e psichica delle persone
22 Novembre 2017: Nel reato di maltrattamenti è interesse dello Stato non solo la salvaguardia della famiglia da comportamenti vessatori e violenti, ma anche la difesa dell’incolumità fisica e psichica delle persone 22 Novembre 2017

E’ giunto all’esame della Cassazione il caso di un marito condannato per  aver maltrattato la moglie, rendendole la vita impossibile, con ripetute percosse, minacce di morte e condotte di intimidazione psicologica e vessazioni, atteggiamenti di umiliazione e svilimento, quali volerle impedire di svolgere una attività lavorativa.

Merita di essere sottolineato un passo della sentenza con la quale la Corte di Cassazione, sez. VI Penale, ha confermato la condanna, laddove afferma che “nel reato di maltrattamenti di cui all’art. 572 cod. pen. l’oggetto giuridico non è costituito solo dall’interesse dello Stato alla salvaguardia della famiglia da comportamenti vessatori e violenti, ma anche dalla difesa dell’incolumità fisica e psichica delle persone indicate nella norma, interessate al rispetto della loro personalità nello svolgimento di un rapporto fondato su vincoli familiari” (Cassazione Penale, Sez. VI, 27/05/2003, n. 37019 Caruso, Rv. 226794).

La sentenza ribadisce poi principi  consolidati,  come quello che stabilisce che le regole dettate dall’art. 192, comma 3, c.p.p. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, che possono essere legittimamente poste da sole a  fondamento della penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto.

Ancora, affrontando il tema dell’elemento soggettivo, la Cassazione ha ribadito che, nel reato abituale, il dolo non richiede, a differenza che nel reato continuato, la sussistenza di uno specifico programma criminoso, verso il quale la serie di condotte criminose, sin dalla loro rappresentazione iniziale, siano finalizzate, ma è invece sufficiente la consapevolezza dell’autore del reato di persistere in un’attività delittuosa, già posta in essere in precedenza, idonea a ledere l’interesse tutelato dalla norma incriminatrice (Cassazione Penale, Sez. VI, 19/03/2014, n. 15146, Rv. 259677).

Altre notizie